La nuova via cervelletto-ippocampo
DIANE
RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 09 marzo
2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
I continui progressi nelle conoscenze sul cervelletto
ci costringono a presentare nuovi studi quasi ogni settimana, e a documentare
la progressiva definizione del ruolo funzionale di connessioni scoperte di
recente e tali da contribuire in modo significativo a quel cambiamento di
visione che noi auspicavamo già nel 2003. Il mese scorso abbiamo visto come la
struttura dell’encefalo descritta come organo per la prima volta da Vicq d’Azyr
controlli direttamente la sostanza nera o Substantia Nigra di Sömmering
del mesencefalo, agendo direttamente sulle popolazioni dopaminergiche
connesse, regolando i valori di ricompensa connessi col movimento[1]. Due settimane
dopo ci siamo occupati dei nuovi meccanismi dei granuli cerebellari[2]. La
scorsa settimana abbiamo recensito uno studio su un ruolo del nucleo
interposito: i neuroni di questa formazione nucleare generano previsioni
che ottimizzano nel tempo e nella forma la riposta di un
movimento condizionato[3].
L’affascinante connessione tra ippocampo e
cervelletto, che la neurofisiologia classica considerava due i poli di memoria
e movimento non comunicanti tra loro, è nota da un po’ nell’animale, ma nell’uomo
è ancora tutta da esplorare.
Per decenni gli studi anatomo-funzionali sono stati
rivolti principalmente all’analisi delle connessioni cervelletto-talamo-corteccia
e, in particolar modo, la relazione mediata dal talamo tra corteccia dei lobi
cerebellari e neocorteccia cerebrale; ma oggi, i tratti di connessione che
creano un circuito tra ippocampo e cervelletto, polarizzano l’interesse dei
ricercatori.
Jessica Bernard fa il punto delle conoscenze sulle
interazioni ippocampo-cerebellari e le considera anche in relazione all’invecchiamento
e al declino cognitivo legato all’età.
(Jessica
A. Bernard, Cerebello-Hippocampal Interactions in the Human Brain: A New
Pathway for Insight into Aging. Cerebellum – Epub ahead
of print doi: 10.1007/s12311-024-01670-5,
March 4, 2024).
La provenienza dell’autrice è la seguente: Department of Psychological and Brain Sciences, Texas
A&M Institute for Neuroscience, Texas A&M University, College Station,
TX (USA).
Come in precedenti occasioni[4] proponiamo un richiamo all’anatomia del cervelletto, che qui si riprende
per la parte relativa alla corteccia da una nostra recensione di quattro anni fa[5] e, per la struttura nucleare, da un altro nostro articolo di tre anni or
sono[6].
Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa
cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo
proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una
struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare,
corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati
(paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari.
È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa
sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso
raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente
i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava
parte del peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo
in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti
secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il
fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale
cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione
in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare
o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente
a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina,
questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al
cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia
morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una
pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che presenta, al posto di
foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da
minuscole scagliette foliacee[7]. A differenza del cervello, in cui la
sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture
interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente nella
costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico
corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca
che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare
come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.
La corteccia
del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e
al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o
superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo
dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato
rugginoso.
L’esame
microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato
esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e
presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o
granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.
Fra queste
due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona
mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto
e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.
Le cellule
di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a
tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori
GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in
linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con
il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje
sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore
ai 25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie
esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide
presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una
morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni secondarie
e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a ventaglio si
risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire fino alla superficie
piale”[8], secondo la descrizione classica. Sui rami si
possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi
neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico.
È interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle
cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta
sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera
dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta
su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della corteccia
del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande
per traverso alla lamella”[9].
Dal polo
opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse,
ossia assone rivestito di mielina[10], presentando la caratteristica di un diametro
inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la
maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami
collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri
risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove assumono
decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione anulare il
tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose altre cellule
di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input
che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i
neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver
emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la
miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove
costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la
via cortico-nucleare cerebellare.
In estrema
sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere schematizzata come
segue.
1)
Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato
dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule
di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei
granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.
2)
Lo strato granuloso, interno, caratterizzato
dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari
nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto
lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come
da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a pennacchio,
particolari elementi della glia descritti per la prima volta da Cajal.
3)
Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje
attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato
considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole
cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e
dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono
l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto
istologico”.
La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata
stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante
ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha
avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando
il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel
secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori.
Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo
contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia
ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello
spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[11].
Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre
muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori,
ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.
Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo
olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce
il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma
anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta
e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già
nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.
Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje,
formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione
dei piccoli interneuroni detti granuli.
Una descrizione anche sintetica dell’organizzazione funzionale della
corteccia del cervelletto richiederebbe uno spazio di dimensioni sproporzionate
in rapporto al testo e all’oggetto dell’articolo, per cui si rimanda alle
trattazioni di neuroanatomia funzionale, corredate da immagini che consentono
la comprensione dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione
spaziale di questi sistemi neuronici[12].
All’interno della struttura del
cervelletto le lamine midollari confluiscono formando una massa di sostanza
bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso,
emboliforme e nucleo del tetto.
Il nucleo dentato è il più grande
e laterale dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente
ripiegata, che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni
e dendriti dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30
micron). La sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura
rivolta in direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che
contribuisce alla costituzione del peduncolo cerebellare superiore.
Il nucleo globoso (o n.
posteriore interposto) è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo
con il nucleo del tetto. Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme
le fibre dei suoi neuroni entrano nella costituzione del peduncolo cerebellare
superiore.
Il nucleo emboliforme (o n. anteriore
interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente con il nucleo
dentato.
Il nucleo del tetto è
localizzato in prossimità della linea mediana, al margine del tetto del quarto
ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente di grandi dimensioni
(40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia nella sostanza bianca
della commessura cerebellare[13]. Dopo la loro decussazione, costituiscono il fascicolo uncinato che
passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore per giungere al nucleo vestibolare
del lato opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo vestibolare
omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo cerebellare
superiore[14].
La sperimentazione
recente ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che hanno dimostrato
un ruolo del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in particolare modulando
il circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio e il comportamento
sociale.
I nuclei
del cervelletto possono essere definiti sub-strutture che trasferiscono
informazioni elaborate nel cervelletto da questa sede ad altri territori dell’encefalo.
Un elemento caratteristico della specie umana è il notevole sviluppo della
connessione di questi aggregati grigi con la corteccia cerebrale del lobo
frontale[15].
Jessica A.
Bernard, fin dall’inizio della sua carriera, si dedica allo studio della
fisiologia del cervelletto e ai cambiamenti che intervengono nella struttura
della fossa cranica posteriore con l’invecchiamento; l’articolo qui recensito
fa il punto delle conoscenze sul circuito cerebello-ippocampale.
Un
notevole aumento di interesse per questa via diretta tra formazioni tradizionalmente
considerare distinte, distanti e tra loro non connesse, si è avuto di recente a
causa di evidenze sperimentali negli animali, che hanno provato l’influenza diretta
dell’attivazione di neuroni del cervelletto sull’attività elettrica di cellule
dell’ippocampo.
Il lavoro
sull’encefalo umano ha fornito le prime evidenze di interazioni cerebello-ippocampali
in un particolare contesto di esperienza, ossia quello del percorrere o
perlustrare uno spazio (spatial navigation), ossia quel genere di compiti sperimentali
adoperati, di solito, per studiare la mappa spaziale ippocampale centrata sulle
cellule di luogo e il controllo dell’orientamento nello spazio basato sulle
cellule griglia della corteccia entorinale. Considerato il ruolo rilevante,
anche se molto diverso, di entrambe le formazioni nella cognizione e nei
processi di invecchiamento, e le evidenze emergenti che patologie
neurodegenerative incidenti nella terza età, come la malattia di Alzheimer,
hanno un notevole impatto sul cervelletto, Jessica Bernard si dice certa che
gli studi in questo campo procederanno intensamente ancora a lungo.
La
rassegna di studi sulle interazioni cerebello-ippocampali in varie specie
animali, e poi nell’imaging cerebrale in vivo nell’uomo, fornite
dalla professoressa Bernard, costituiscono una raccolta di dati – per la cui esposizione
dettagliata si rimanda alla lettura integrale del lavoro originale – che nel
complesso prova l’esistenza di varie interazioni con differente significato
funzionale. Ma lo studio è ancora agli inizi, e sarebbe prematuro e azzardato
tentare di dedurre regole o schemi concettuali fisiologici. La Bernard adduce
convincenti ragioni alla tesi dell’utilità di proseguire questi studi per avere
una comprensione migliore dell’invecchiamento cerebrale e delle ragioni che
determinano il declino cognitivo che convenzionalmente si attribuisce all’età.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane
Richmond
BM&L-09 marzo 2024
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e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 03-02-24 Il
Cervelletto modula direttamente sostanza nera e ricompensa.
[2] Note e Notizie 17-02-24 Nuovi
meccanismi dei granuli del cervelletto.
[3] Note e Notizie 02-03-24 Un
ruolo del nucleo interposito del cervelletto.
[4] Note e Notizie 30-09-23 Cervelletto in anatomia e filogenesi in 56 specie di
mammiferi; Note
e Notizie 16-09-23 Interneuroni
del cervelletto controllano il consolidamento mnemonico; Note e Notizie 03-02-24 Il cervelletto modula direttamente sostanza nera e
ricompensa.
[5] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia
del cervelletto umano è sorprendente.
[6] Note e Notizie 23-01-21 Origine
nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[7] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato
per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska
e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae;
come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della periferia”, in America
si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della sostanza
bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana di Testut e
Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale
la translitterazione dal greco è resa con thuya.
[8] Testut e Latarjet, op. cit., vol.
III, p. 242.
[9] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.
[10] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[11] Llinas R. R., La corteccia del
cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello –
organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le
Scienze Editore, Milano 1978.
[12] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia
del cervelletto umano è sorprendente.
[13] È interessante notare che non si
tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso,
ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano
commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea
mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.
[14] Note e Notizie 23-01-21 Origine
nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[15] Questo richiamo sintetico all’anatomia
cerebellare si trova anche in Note e Notizie
15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale, in cui si recensisce un interessante studio di Matthias Fastenrath e colleghi.